Intervista ad Alessandrina
Nel breaking, ogni storia è unica, fatta di sacrifici, svolte inaspettate e una passione che brucia senza sosta. Ci sono bgirl che lasciano il segno con la loro tecnica, altre con la loro creatività, e poi ci sono quelle che, oltre a tutto questo, trasmettono un'energia capace di ispirare chiunque le guardi ballare. La protagonista di questa intervista è una di loro.
Dai primi passi nella danza classica al colpo di fulmine per il breaking a soli sei anni, il suo percorso è stato segnato da una determinazione incrollabile, che l'ha portata a diventare una delle bgirl più rappresentative della scena italiana, riconosciuta e rispettata in tutto il mondo del breaking internazionale. Dalla Marittima Funk Crew, che l’ha cresciuta come una famiglia, fino ai palchi più prestigiosi del mondo, la sua evoluzione non si è mai fermata.
Con il suo sorriso contagioso, ha affrontato le sfide più dure: pregiudizi, infortuni, la pressione di un nuovo status da atleta olimpica. Eppure, anche quando il sogno di Parigi 2024 le è sfuggito di mano, ha trasformato la delusione in una nuova consapevolezza: il vero valore sta nel viaggio, nelle connessioni, nei momenti di crescita.
Oggi abbiamo il grandissimo piacere di fare qualche domanda ad Alessandra Chillemi, per tutto il mondo del breaking Alessandrina, per conoscere il suo percorso, tra la strada e le competizioni, tra il breaking come arte e come disciplina sportiva, in un equilibrio che solo chi ha vissuto entrambe le dimensioni può davvero comprendere.
Ciao Alessandrina, grazie per il tuo tempo e la tua disponibilità.
Agli inizi è stato difficile essere una ragazza in una disciplina prevalentemente maschile, affrontando anche pregiudizi come l'essere etichettata “maschiaccio”. Ora a distanza di anni quale pensi sia la percezione attuale?
Quelle etichette erano da parte di persone fuori dalla scena e penso che questo stia migliorando. Hanno aiutato molto anche le Olimpiadi che hanno permesso alle persone di conoscere meglio noi ed il nostro ambiente.
Nel tuo percorso di crescita hai vissuto anche un’esperienza come arbitro di calcio. Cos’ha significato per te quel periodo, che insegnamento ti ha lasciato e quanto pensi sia importante in alcuni momenti della vita uscire dalla propria confort zone?
Quel periodo per me è stato molto stimolante. Ero molto timida e ho deciso di diventare arbitro di calcio per lavorare su ciò. Quando ti ritrovi in campo con 22 giocatori più le panchine ed un pubblico piuttosto maschilista o esci il carattere o perdi in partenza. Questo mi ha portata a trasformarmi totalmente dal momento in cui mettevo il primo piede nel campo di calcio.
Penso che forzarsi ad uscire dalla propria comfort zone sia fondamentale per migliorarsi sempre e io continuo a pormi delle sfide per continuare questo percorso personale.
Qual è stato l’evento o il momento di svolta che ti ha spinto a dedicarti al 100% al breaking e a volerlo trasformare nella tua professione?
Quando ho scoperto il breaking ho capito che non ne sarei più uscita. È diventato un’ossessione positiva e tutta la mia vita la devo al breaking e alla cultura hiphop. Onestamente da piccola il mio obiettivo non era quello di lavorare con la mia passione ma il mio obiettivo era arrivare ad un livello tale da avere l’opportunità di viaggiare ed accumulare più esperienze possibili. Se il breaking fosse diventato il mio lavoro, sapevo ci sarebbero state pressioni esterne da non farmi godere a pieno la mia passione ed il mio gioco. Per questo ho continuato sempre a studiare e mi sono laureata in Economia e Management alla statale di Milano. Con l’ingresso del Breaking alle Olimpiadi però la mia vita è un po’ cambiata e sarebbe stato da stupidi rifiutare un’opportunità così grossa. Rappresentare le Fiamme Azzurre per me è un onore ed essere stata insieme ad Anti la persona che ha permesso l’apertura del gruppo sportivo del Breaking mi stimola a fare sempre meglio.
Il primo periodo è stato complesso perché sono stata fiondata in una vita del tutto diversa, ma adesso sono tornata in me e sono grata per tutto ciò che mi è stato dato e che spero sia stata un’apertura anche per le nuove generazioni.
La tua carriera è stata segnata anche da infortuni, come quelli prima del Mondiale 2021 e delle qualificazioni per le Olimpiadi. Oltre agli infortuni, quali sono state le difficoltà più grandi che hai affrontato?
Le difficoltà più grandi sono stati sicuramente gli infortuni, perdere un pilastro importante della mia vita ovvero mio nonno, essere catapultata nel mondo sportivo ed in una nuova vita con l’ingresso del Breaking alle olimpiadi. Per un periodo ho intrapreso un percorso anche con una psicologa sportiva per trovare nuovi mezzi per analizzarmi ed affrontare questo periodo al meglio. Sì, a volte sembro un po’ psicopatica ma per me analizzarmi ogni secondo è fondamentale per la mia crescita personale.
Guardandoti ballare, oltre alla tecnica, creatività e stile, ciò che colpisce è il tuo sorriso. In un’intervista hai detto che è un dono verso tuo nonno, una figura fondamentale per te. Ma nella vita di tutti i giorni, riesci a mantenere questa carica vitale che trasmetti nel ballo anche nei momenti di difficoltà?
Il mio ballo esprime ciò che sono. Vivo sorridendo e cercando di godermi ogni istante. Ovviamente i periodi no ci sono, ma cerco sempre di “switchare” ed uscirne il prima possibile.
L’esperienza con la Nazionale ti ha aperto nuove opportunità, ma ha anche portato aspetti diversi, come un maggiore coinvolgimento istituzionale e nuove responsabilità. Come hai vissuto essere considerata una atleta e cosa ti ha lasciato questo percorso? Hai più il rimpianto di non essere riuscita ad andare a Parigi o la soddisfazione per tutto il viaggio fatto?
Come detto prima, inizialmente mi sono ritrovata catapultata in una nuova vita del tutto diversa, con i suoi pro ed i suoi contro.
Ho sofferto per un bel periodo dopo non essermi qualificata alle Olimpiadi di Parigi per diversi motivi: lo avevo promesso a mio nonno prima che mi lasciasse e per questo è diventata un’ossessione; il mio team (Kacyo, Yaio, Matteo Artina e Goodfella) è stato incredibile e mi sentivo in colpa anche per non aver fatto arrivare loro a Parigi; ho avuto un grosso infortunio (e operazione) nel corso della preparazione che mi ha portata ad allenarmi con una sola mano per parecchi mesi ma non mi è mai passato per la testa di fermarmi o arrendermi. Con i ragazzi abbiamo fatto un percorso che solo dei pazzi potrebbero fare.. ore e ore in sala per provare ad adattare tutte le mie skillz e crearne di nuove per poter affrontare le qualifiche con una mano visto che l’infortunio non migliorava, crampi, lacrime, momenti di gioia che solo chi li ha vissuti può realmente capire.
Quindi direi che ci ho sofferto perché me lo meritavo e ce lo meritavamo e ne sono convinta anche oggi. Ma non sempre si arriva al risultato, anche se lo si vuole o lo si merita più degli altri.
Dopo questo primo periodo di delusione, sono tornata a vedere tutto in modo positivo. Sono migliorata tantissimo e questo percorso mi ha fatto scoprire la mia forza. Non penso che ballare su quel palco mi avrebbe dato ricordi più belli di quelli che ho di quel periodo passato a lavorare con il team, quindi direi che il percorso è stato molto più importante dell’obiettivo non raggiunto. Ogni volta che penso a quei momenti, mi viene solo da dire “wow” e non li cambierei con nessun altro ricordo.
C’era qualcosa che poteva essere fatto meglio in termini di supporto e aiuto agli atleti? Ora che l’esperienza con le Olimpiadi si è conclusa, quale pensi sarà il futuro degli atleti della Nazionale?
Onestamente non so il futuro della Nazionale. Penso si possa sempre fare di meglio, ma non so come funzionano certe dinamiche quindi io prendo ogni opportunità piccola o grande che mi venga data e cerco di sfruttare al meglio ciò che ho. Sono cresciuta con il supporto della mia famiglia e della community hiphop e so che questo non mancherà mai.
Tu sei nata in una crew e vivi il breaking nella sua natura più pura, le tue presenze ai vari eventi e battle nazionali ne sono una testimonianza. Per molti dell'ambiente associare la parola “sport” al breaking è quasi un insulto, eppure, dal punto di vista della preparazione e uno sport e forse per lo sforzo fisico e abilità tecniche è superiori a tanti altri sport. Hai vissuto momenti di contrasto tra questi due mondi, quello della federazione e quello dei battle underground? Come riesci a bilanciare l’aspetto sportivo e quello culturale della disciplina?
Il Breaking è comunicazione, libertà di espressione, arte e adesso viene considerato anche uno sport. Anche io faccio fatica a considerarlo come tale a tutti gli effetti, ma riconosco che ha una componente sportiva al suo interno. Una frase che secondo me ci caratterizza e che ripeto sempre è “ci alleniamo come atleti, balliamo come artisti” (cit. bgirl Madmax). Secondo me è importante istruire bene le nuove generazioni e fargli capire che allenarsi per la medaglia va anche bene ma non deve essere l’obiettivo primario.
Ai giorni d’oggi vedo molto la differenza tra le vecchie generazioni cresciute ballando in strada e le nuove generazioni cresciute ballando in palestra poiché le nuove sono fortissime tecnicamente e più propense a vincere ma spesso non vedo l’anima quando ballano, non trasmettono a pieno e a volte non puntano a sviluppare il proprio essere e a diventare innovatori. Bisognerebbe bilanciare sempre i due aspetti, magari allenandosi in diversi contesti. Ovviamente non sto dicendo che allenarsi in palestra è sbagliato, ai giorni d’oggi abbiamo questa possibilità e sono la prima a sfruttarla, ma bisogna sempre ricordarsi i nostri valori e vincere non deve essere l’unico obiettivo, sennò si rischia di prendere il più bello di ciò che facciamo
Hai partecipato a molte competizioni di alto livello. Come ti preparai per affrontarle?
Cerco di allenarmi al meglio in sala e pensarci il meno possibile in battle.
La preparazione è sempre la parte più dura del percorso. Mi alleno mattina e pomeriggio, 5/6 giorni a settimana per rendere al meglio. Una volta in battle, quel che è fatto è fatto e cerco di godermi il momento e divertirmi il più possibile, anche perché quando non lo faccio ballo male. Ognuno deve capire se stesso e cosa ha bisogno per rendere meglio. C’è chi ha bisogno di concentrarsi e chi di alleggerirsi. In questi anni ho cercato di testarmi, studiarmi e capirmi per vedere cosa realmente mi serva per affrontare quei momenti al meglio.
Qual è il processo creativo dietro le tue skills? Da dove prendi ispirazione e come le sviluppi?
Cerco di prendere ispirazione da tutto ciò che mi circonda, che siano oggetti o animali o cose. Tutto può aiutarmi. Solitamente l’idea di una skill nuova parte da un concept che mi metto o dal freestyle e poi vedo di svilupparla.
Qual è evento che porti nel cuore e un episodio che hai vissuto che potrebbe far capire la bellezza di quest'arte?
Un evento che mi porto nel cuore è il RedBull BcOne LCC 2022 a New York, poiché il percorso è stato molto particolare. In quel periodo mi stavo preparando duramente per il mondiale WDSF che si sarebbe tenuto due settimane prima. Il mondiale è andato piuttosto male e quindi ho deciso di scendere in Sicilia ed alleggerirmi un po’. Ero andata a New York con zero aspettative, solo per divertirmi e sfogarmi con la mia passione ed inconsapevole mi sono ritrovata a vincerlo. Più che la vittoria, mi ricordo i momenti di dialogo, risate ed episodi buffi passati con Kacyo tra una sfida e l’altra. Per questo penso che il percorso sia sempre più importante di ogni vittoria.
Uno dei tanti episodi che mi ha fatto capire la bellezza e la potenza di ciò che facciamo è stato ultimamente in Sud Africa in occasione dell’Undisputed. Hanno organizzato un allenamento nella Township di Cape Town (una “favelas” per intenderci) ed è stata una delle esperienze più importanti della mia vita. L’energia era a mille, lo scambio con loro è stato magico e vedere cosa può dare l’hiphop a tutte le persone del mondo è stato emozionante.
La tua storia è un esempio per tante bambine che vorrebbero intraprendere percorsi alternativi nella danza. Perché, secondo te, una bambina dovrebbe scegliere il breaking al posto dell’hip hop?
Secondo me una bambina dovrebbe scegliere ciò che la faccia esprimere al meglio. Nel mio caso è stato il breaking. Ho studiato un pochino anche altre discipline dell’hiphop per aprire nuovi orizzonti e per aiutarmi a sviluppare il mio Breaking al meglio. Mi piacciono tutte ma la mia preferita rimane sempre questa.
Però in generale le consiglierei di avvicinarsi all’ambiente e alla cultura hiphop perché ha dei grossi valori quali inclusione, rispetto, condivisione, lealtà ed una community bellissima.
Oltre al breaking, hai intrapreso un percorso di studi e coltivato altre attività o interessi? Come sei riuscita a bilanciare la tua formazione con la carriera di atleta? In che modo il tuo attività estranee al breaking ti hanno arricchito come persona e come bgirl?
Guardando al futuro, quali sono i tuoi obiettivi o sogni, sia dentro che fuori dalla scena del breaking?
Crescendo mi hanno sempre detta che non sarei mai riuscita a fare più cose in una volta. “Non potrai viaggiare ed allenarti quando andrai alle scuole superiori”, “non riuscirai a fare l’università”. Ho sempre voluto dimostrare il contrario a queste persone e ci sono riuscita. Sicuramente bisogna fare dei sacrifici, ma organizzandosi si riesce a fare tutto e al meglio. Per me studiare è sempre stato importante ed è anche stata l’unica richiesta da parte della mia famiglia quindi mi sono impegnata al massimo visto i sacrifici che loro hanno fatto per me.
Ho ancora tanti obiettivi da raggiungere e nuovi progetti in work in progress. Lavoro sul presente e vedremo dove mi porterà il tutto.
Grazie ad Alessandrina per il tempo concesso e la disponibilità ma soprattutto per gli insegnamenti e il messaggio che porta sempre con se sul floor ma nella vita.