Intervista a Kacyo.

Finalmente, dopo averlo seguito per diversi mesi mentre si trovava in giro per il mondo ad accompagnare gli atleti della nazionale, siamo riusciti a rivolgere alcune domande a una delle figure di spicco in Italia nel campo del breaking. In passato ha trionfato in competizioni prestigiose come il Red Bull BC One e attualmente ricopre il ruolo di coach della nazionale e contribuisce a fare crescere il movimento grazie alla sua accademia di breaking B-Student. Diamo il benvenuto a Kacyo, al secolo Giuseppe di Mauro, e gli esprimiamo gratitudine per la sua disponibilità. Non esageriamo aprendo la nostra intervista dicendo che sei il punto di riferimento per chi ha ambizioni di diventare un b-boy o una b-girl di alto livello grazie al tuo ruolo di coaching della nazione ma soprattutto alla tua scuola B-Students

Più con il progetto B-Students visto che la nazionale e le Olimpiadi sono un elemento relativamente nuovo, essendo state inserite nel 2018 e ora ci stiamo preparando per i giochi di questa estate.

Cosa ti ha spinto ad accettare la carica di commissario nazionale?

Sotto il lato Olimpiadi ho affrontando un territorio inesplorato anche per me. Da membro attivo della comunità italiana di breaking dal '99, ho sempre girato e viaggiato tra battle jam ed eventi e le Olimpiadi, per me, sono diventate un’occasione da cogliere. Ho visto in esse la possibilità di contribuire e dare qualcosa alla nostra comunità, anche se a volte non è affatto semplice concretizzare ciò che vorresti realizzare.

Riesci a conciliare la libertà tipica del mondo breaking con delle regole procedurali e organizzate tipiche delle federazioni?

Sono stato chiamato nel 2017, credo perché quell'anno ho vinto il Red Bull BC One italiano, mi hanno convocato nei loro uffici dicendomi che stavano cercando una figura che potesse far evolvere la disciplina. La federazione è attiva dal 1995, ma prima dell'evento delle Olimpiadi non c'era mai stata una cura e un'attenzione verso questa disciplina. Non c'era una giuria qualificata, un DJ qualificato. Personalmente, mi sono ritrovato a giudicare diverse competizioni con persone che magari facevano tutt'altro che il breaking. Quando mi hanno convocato per dare una mano, ho dato alcuni consigli, a partire dalla giuria e dal DJ, per strutturare un lavoro funzionale per ampliare la disciplina e, soprattutto, per avere quel minimo di credibilità nella scena internazionale.
Abbiamo iniziato il progetto a Buenos Aires nel 2018, in vista delle Olimpiadi Giovanili. Da lì, abbiamo avviato un progetto piuttosto aperto, con la partecipazione di numerosi membri della nostra scena. Questo primo passo di rinnovamento si è concluso con la medaglia d'argento di Lexina a Buenos Aires. È stato un progetto bellissimo e un viaggio emozionante.

Possiamo dire che tu hai la paternità di tutto?

È un lavoro di squadra, che va oltre la mia persona e coinvolge il direttore tecnico Edilio Pagano, l'ex presidente e il segretario generale. Abbiamo svolto un lavoro davvero significativo. Naturalmente, molte persone hanno espresso critiche, soprattutto sul versante della comunicazione, ma bisogna considerare che si trattava di una novità estranea al nostro mondo. Prima di questo progetto, lavoravamo nel nostro ambito con iniziative legate alla comunità, e la federazione, con le sue regole, non poteva attivarsi su molti aspetti, come la pubblicità dei giurati o del circuito. Ci sono regolamenti interni e richieste che devono passare attraverso vari passaggi di approvazione. A volte, per realizzare un'azione, possono passare due, tre o addirittura quattro mesi. Ad esempio, all'inizio del progetto di Buenos Aires, facevo numerose richieste per far allenare i ragazzi in modi specifici, richieste che magari venivano approvate solo dopo mesi dalla presentazione. Quindi, è stato difficile, e lo è tuttora, poiché a volte non si ha la libertà di dire 'facciamo questa cosa, la attiviamo per il bene dei ragazzi o della comunità'. Le richieste passano sempre attraverso un consiglio federale composto da dodici persone. Non bisogna poi dimenticare che la Federazione Italiana comprende 52 discipline con relativi consiglieri. Sebbene noi siamo la disciplina olimpica e abbiano comunque la priorità, la federazione è composta da 52 discipline che contano circa 120.000 tesserati, non necessariamente di breaking. Siamo pertanto ospiti di una federazione composta da persone che non praticano il breaking, quindi affrontare specifiche tematiche alla volte può essere un po' complicato.

Direi che non è semplice, qual è pertanto la motivazione che ti spinge a proseguire ed accettare alcune situazioni?

Penso che fin dal primo giorno la mia motivazione siano stati i giovani, chiamiamoli i miei allievi. Per me, tutta l'Italia, tutta la nuova generazione sono i miei allievi, intesi come allievi della scena italiana. Noi abbiamo una storia, un vissuto importante, e se la mia generazione non ha avuto quel beneficio o quello slancio di rappresentanza, ora è possibile. Io  da ragazzo non è che soffrissi per questa situazione, ma ogni volta che andavo all'estero a mie spese e rappresentavo la mia nazione, capivo che non era una questione di livello, ma una questione politica, una questione di circuito internazionale in senso largo del termine. La nostra generazione aveva pochissime possibilità di viaggiare e di rappresentare, quindi per me l'Olimpiade rappresenta un'opportunità per intervenire e aiutare la generazione dei giovani, dando loro stimoli. 

Che penso sia la motivazione che ti ha spinto a creare il B-Student.

Quest'anno festeggiamo dieci anni e organizzeremo un anniversario per celebrare questo traguardo. In questo percorso, abbiamo formato una serie di ragazzi che ora rappresentano l'Italia all'estero, come ad esempio i Lotta Boys. Ciclicamente, B-Boys e B-Girls vengono da noi per apprendere e migliorarsi. Non è stato solo un mio lavoro ma insieme ad altri insegnanti, anche se poi sono gli allievi a rappresentare il vero valore. Al B-Student, tutti ci diamo una mano. Ho scelto di far studiare i miei allievi con diverse figure e queste figure hanno contribuito molto. Ritengo che i ragazzi non devono avere solo un punto di riferimento, quale può essere Kacyo; è importante che capiscano che più stimoli ricevono, più crescono. In questi dieci anni, la mia priorità è stata questa e continua ad esserlo. In generale, metto sempre al primo posto i giovani nei ruoli che ricopro, che sia al B-Student, al Red Bull BC One o alla Federazione. Dico sempre 'ok, cosa hanno bisogno i ragazzi?' e lavoriamo su di loro. Penso che questa sia stata la motivazione che mi ha spinto, fino ad oggi, a dare il massimo.


Entriamo nel discorso dei giovani. Penso che la vostra generazione sia cresciuta, concedimi il termine, per strada, nel mondo proprio della cultura hip hop. Oggi non c'è più la strada come luogo di formazione, ma ci sono le scuole dove si lavora sulla tecnica, la musicalità, la creazione di skills e la cultura hip hop è quasi secondaria. Pensi che sia così?

Penso che per la gente della mia generazione, la strada e la cultura hip hop siano state le chiavi della loro formazione. Anche oggi cerco, parlando per il mio lavoro, di bilanciare il breaking con attività culturali. Bisogna sempre far conoscere la nostra storia e divulgarla. Per me, il writing o la cultura hip hop in generale, sono il motore di tutto, perché ho iniziato in strada, vengo da Palermo, mi sono trasferito a Roma e adesso risiedo a Padova. Grazie al breaking, grazie alla strada, grazie a questa cultura che nasce 50 anni fa e si diffonde in tutto il mondo, sono diventato chi sono. Sicuramente per un giovane di oggi non è così, perché giustamente vive in un'epoca diversa. Se noi siamo cresciuti con carta e penna, i ragazzi sono cresciuti con l'iPad e il pennino. Si tratta di un'epoca diversa: noi avevamo le VHS, mentre ora i ragazzi hanno YouTube.

Quanto pensi possa dare la cultura hip-hop intesa come sua totalità nello sviluppo delle abilità nel ballo?

Penso che le quattro discipline dell'hip-hop possano offrire molto, ma in realtà qualsiasi cosa ti circonda può darti molto. Noi siamo cresciuti con una forte componente di cultura hip-hop, che comprendeva le quattro discipline unite. Per noi non c'è differenza tra un writer che scrive su un muro, un b-boy che crea passi, un musicista che campiona un pezzo o un rapper che scrive un testo. Sono le stesse tecniche che possono aiutarti ad aprire la mente. Sotto questo aspetto noi abbiamo una grande responsabilità: dobbiamo cercare di trasmettere ai giovani gli stimoli giusti per aprire il più possibile i loro orizzonti. Sicuramente, non iniziano con l'hip-hop o la strada, ma la nostra responsabilità è raccontare quella strada, quella storia, per evolverla. Dobbiamo far capire che per avere più creatività o apertura mentale, non puoi limitarti al solo breaking; devi cercare di spaziare in più contesti, che oltre all'hip hop possono essere la scuola, il lavoro, il cinema, l'arte, la musica. Sono tutti stimoli che possono aiutarti ad aprire quel terzo occhio per cercare sempre di migliorarti ed evolverti. Penso che dobbiamo tramandare questo concetto e abbiamo una grande responsabilità.

Sempre parlando della differenza tra generazioni, e una responsabilità possono averla le Olimpiadi, oggi sembra esserci maggiore individualismo, e il concetto di crew, che era una parte integrante del vostro mondo, sembra sia andato a perdersi. Il rischio è che possa prevalere l'individualismo e forse una forma di egoismo?

Penso che sia sempre una questione di contesto formativo. Se il ragazzo cresce con punti di comunità sicuramente il concetto di crew lo porterà con sé nel proprio bagaglio. Se vogliamo fare un'analisi storica, possiamo dire che non ci sono più crew come un tempo, a causa di una serie di punti chiave. Il BC One è stato uno di questi, commercializzando la competizione uno contro uno, facendola diventare l'evento dell'anno a livello mediatico e spostando il focus dalle crew all'uno contro uno. È normale che un percorso singolo, anche a livello pubblicitario e lavorativo, sia diverso. Non possiamo farci nulla, penso sia una situazione inevitabile che dobbiamo semplicemente affrontare al meglio. Ma non dobbiamo mai dimenticare che una crew è un insieme di persone che crescono insieme, lavorano per lo stesso obiettivo, per la crescita, per rappresentare al meglio il proprio nome, la propria città, la propria famiglia. Ho toccato con mano questa cosa con i Lotta. Sono cresciuti dentro al B-Students e non erano una crew all'inizio; erano un gruppo di ragazzi che studiavano e crescevano insieme. Mi piace pensare anche a me stesso come uno di loro; anch'io sono un Lotta Boys. Siamo cresciuti tutti insieme dentro questa community che era il B-Students a Roma. Erano diversi ragazzi che si allenavano quotidianamente per quattro, sei ore al giorno, con lezioni che spaziavano da Top Rock, Power Move, Freeze a lezioni generiche e culturali. Vivevano in un ambiente fatto di cypher, battle, eventi. Dopo un paio d'anni, mi hanno chiesto di formare una crew. Ho risposto loro dicendo: 'La crew ve la dovete formare voi, se sentite questo bisogno. State crescendo insieme ed è giusto che vi creiate la vostra crew. Io posso raccontarvi della mia esperienza nei Deklan e di quanto sia stato importante avere una crew. Vi posso parlare dei valori di una crew, delle cose brutte e di quelle cattive, e posso aiutarvi magari ad affrontare competizioni, ma la crew siete voi'. È successo in modo davvero spontaneo: i ragazzi si sono formati la loro crew. Per tornare alla domanda, è il contesto in cui ti muovi, e alcuni contesti possono far nascere le crew. È fondamentale anche l'approccio con cui affronti tutto. Uno dei motti del B-Students è 'essere sempre uno studente', perchè c'è sempre da imparare. Anche con 20 anni di esperienza io posso imparare da Amaro e fare lezioni insieme a lui. Per me, non è un problema, ed è una questione di mentalità.

Posso aprire una parentesi su Amaro. Personalmente, tra i tanti lati positivi che ha, una cosa che mi colpisce, e penso che anche qui la formazione c'entri, è il fatto che spesso nelle battle lui sia sempre il primo ad entrare.

Qui forse possiamo chiamare in causa un piccolo aneddoto datato 2014. Personalmente cerco di impartire lezioni ai ragazzi anche raccontando episodi che mi hanno formato o che ho riscoperto dopo anni, e talvolta li utilizzo come chiave per far comprendere loro che alcuni atteggiamenti possono essere una strategia. Nel 2014, quando ho vinto il Red Bull, provenivo da un paio di infortuni, non avevo avuto la possibilità di allenarmi come avrei voluto, e non avevo la mentalità desiderata. Perciò, durante quell'evento, mi sono detto: in ogni sfida entro per primo, stabilisco io il lavoro e le regole. Volevo essere io a iniziare e a dettare le regole del gioco. In particolare in finale volevo fare qualcosa che dimostrasse fin dall'inizio che il vincitore ero io. L'altro finalista era Movycube, la cui peculiarità era ballare coi pugni. Ricordo che la prima cosa che ho fatto è stata aprire la sfida girando sui pugni, un gesto che non avevo mai fatto prima. Dopo quell'entrata, mi sono detto: "Ok, questo lo so fare... ora è tutto il mio". Spesso cito questo aneddoto ai miei allievi, quell'esperienza lì, e quando vedo Amaro entrare e dettare le regole del gioco, mi ritorna in mente.


Un percorso di formazione che spazia quindi su tantissimi aspetti. Come pianifichi le lezioni e per te quali sono gli aspetti più importanti da coltivare per la crescita di un ballerino?

Quando mi metto nei panni di quella figura un po’ più istituzionale di coach della nazionale, penso sempre che i ragazzi dovrebbero cercare di sviluppare le proprie abilità attraverso diverse vie e stimoli. Dovrebbero sempre avere un punto di riferimento, figure come me, che forniscono un approccio al break più generico, ma insieme cercare di apprendere da più persone possibili. I ragazzi studiano con dieci insegnanti diversi ed io cerco di aggiustare il tiro su ognuno di loro. È come un sarto che ti cuce un vestito su misura. Il breaking tecnico specifico, ovvero solo top-rock, solo power, solo freeze, dovrebbe essere potenziato il più possibile. Da lì, bisogna fare un lavoro più specifico, dove il coach sviluppa diverse vie con quel materiale.
Le basi sono gli stimoli che hai. Poi c’è una fase successiva: come rendere funzionali tutti questi stimoli. Cerco di far emergere le caratteristiche uniche di ogni individuo. Far nascere l’unicità del b-boy o della b-girl. Questo  è l'obiettivo del mio lavoro. Mi piacerebbe vedere dieci persone diverse, non dieci persone tutte uguali. Vengo da quella scuola. Per me, l’unicità è il break. 

Faccio sempre l'esempio di Yaio. Quando lui ha iniziato, non sapeva cosa fossero le foundation o il six step. Mi racconta che ha scoperto come si faceva il six step dopo anni che faceva breaking, eppure le forme di Iaio sono uniche. Perché è unico? Perché il suo percorso, dove magari ha iniziato con un movimento sbagliato, magari al contrario, che poi ha modificato grazie a delle informazioni giuste dopo anni, lo ha fatto diventare unico.

Come creare oggi questa unicità?

Un giovane deve cercare di studiare, allenarsi tanto e soprattutto fare molta esperienza. Questi sono tre aspetti sono fondamentali-Sono tre cose che vanno di pari passo.
Poi c’è anche una fase successiva, quella di sviluppo la propria tecnica  individuale e lo sviluppo personale, ma quello è una fase successiva. Sono questi i passi che per me un allievo deve seguire per raggiungere una unicità.



Che consiglio potresti dare a chi sogna di diventare un bboy o una bgirl?
Il consiglio che posso dare ai giovani è quello di cercare di potenziare il più possibile le fondamenta e confrontarsi con diverse persone. Una cosa che ho notato negli anni è che molti ragazzi sono la fotocopia di altri. Non è una critica, è normale che se passo dieci ore al giorno con un ragazzo e gli insegno il mio ABC che diventi una piccola copia di me. Il consiglio che darei è di fare più esperienze possibili con diversi b-boy, a livello nazionale e internazionale, se ci fosse la possibilità. Se guardiamo Amaro e insieme a lui altri che ormai sono ai vertici, che magari hanno iniziato come me, se sono diventati ciò che sono perché io ho dato loro un due per cento, il resto arriva da altre influenze. L'obiettivo è che una persona deve trovare il suo percorso di sviluppo personale.

A tuo avviso quanto può essere importante l'istruzione scolastica in questo percorso? Intesa come cultura personale ma anche come disciplina nel seguire dei compiti?

Penso che ci voglia intelligenza nel capire come acquisire determinate competenze. Ci sono b-boy bravi a scuola perché hanno applicato un metodo anche oltre il breaking e quella testa gli permette di affrontare al meglio tanti aspetti della vita. Altre volte i ballerini che vengono dalla strada, con l'anima un po’ ribelle, magari riescono a mettere quel lato più creativo e più pazzo nel ballo, ma il rischio è che magari non hanno testa per gestire la crescita.
Io penso che il percorso giusto sia quello di crescere tanto su più binari. Avere una disciplina nel percorso scolastico permette di avere quella testa giusta per andare avanti anche nel breaking e magari accelerare alcuni processi di crescita, ma anche chi ha quella creatività che gli permette di uscire dagli schemi e all'inizio è scapestrato può crescere se trova la giusta disciplina. La scuola e le responsabilità scolastiche aiutano tanto in termini di disciplina nel seguire un obiettivo.

Però è il tempo che ti dà quella capacità, quella testa di elaborare determinati concetti tipici del breaking. Magari un ragazzo può essere più pronto nell’affrontare alcune situazioni mentre un altro non è ancora maturo. Io dico sempre che è il tempo che ti fa crescere e ti dà la giusta direzione, è una questione di lavorare bene durante il percorso e di come ti immergi nella disciplina. E' una questione di testa.

Un buon ballerino arriva se ha una buona testa, non solo talento. Poche volte vedo un grande talento senza testa arrivare. Bisogna mettere sulla bilancia e sullo stesso binario talento e testa. So che è difficile per tanti, ma già il pensare o avere quello stimolo porta comunque a proseguire nella giusta direzione. Bisogna essere consapevoli di avere tutte e due le cose e cercare di allenare tutte e due le cose e creare un equilibrio. Perchè poi quell'equilibrio lo porterai sempre con te.

Anche oltre il breaking.

Esatto,  abbiamo tantissime persone del nostro mondo che adesso spaziano in tutt'altro e hanno posizioni di alto livello. L’approccio è come tu inizi e come ti immergi in questa cultura, che ti forma e ti dà quella direzione giusta per essere, metto le virgolette, più professionale possibile. La professionalità è un modo di essere, un modo di vivere, un mondo dove sei cresciuto con quella testa e la porti avanti. Poi certo c'è anche una questione di fondamenta e una questione di educazione. Ma se tu fai un buon lavoro di base te lo porti dietro per tutta la vita. Mi auguro che i miei allievi, la nuova generazione cresca, con questa testa, con questi valori e con questa consapevolezza.  Mi piacerebbe far crescere uomini e donne prima di diventare breakers.

Per concludere questa chiaccherata, di cui ancora ti ringrazio, volevo chiederti una cosa personale: Mi racconti del rapporto con il tuo cappello?"

Il rapporto che ho con il mio cappello? (Risata NDR) Per me, il cappello rappresenta un po’ la mia storia. Nel 2008, scesi a Palermo da Roma, dove abitavo, e mia nonna mi regalò il cappello di mio nonno. Mio nonno era un contadino che vendeva la frutta e quando andava a raccoglierla si metteva questo cappellino verde. Mi regalò questo cappellino che per me significava tanto. Io tenevo tantissimo a mio nonno, mio nonno venne a mancare nel 2001 e dopo tanti anni mi diede un oggetto che per me era davvero importante.

Da allora mi ha accompagnato sempre. Ai tempi lavoravo in strada come artista di strada, insieme alla mia crew facevamo street show e con quello che raccoglievamo ci pagavamo la casa e i viaggi. Ci allenavamo in strada e quella è stata la mia formazione per un bel po’ di anni a Roma. Il cappello simboleggia la strada, io che raccolgo i soldi dopo lo show. Ma soprattutto, l’ho inserito in una mia prima competizione nel 2009 con un trick a tempo di musica. Da quel momento lì è sempre stato parte fondamentale del mio percorso.

Ed ancora adesso è sempre con te.
Adesso, sviluppo dei movimenti, sviluppo il mio breaking insieme al cappello perché comunque è parte fondamentale del mio modo di rappresentare e forse fa parte della mia unicità. Anno dopo anno, ho cercato sempre di sviluppare questo legame ma è venuto in maniera spontanea. Escono trick o passaggi con sempre questa connessione col cappello. Quindi, dietro e dentro il cappello ci sta famiglia, storia, città, percorso, strada e formazione ma c’è anche il presente, che è, comunque, un pezzo fondamentale del mio ballo.

Che emozioni vorrei vivere nel 2024, l'anno delle Olimpiadi?

Cerco di non darmi mai grosse aspettative. In passato, per diverse competizioni, mi sono sempre immaginato di dover raggiungere un certo obiettivo, magari un obiettivo che desideravo, ma era troppo grosso per la mia portata. Penso che negli anni quell’esperienza mi ha cambiato nel senso di non farmi tante aspettative, ma cercare di vivere il presente o quel momento al massimo. Un momento che può essere un allenamento, un’emozione, un viaggio, qualsiasi cosa. Cerco di aggrapparmi a quel momento che mi rende felice con le persone che mi circondano.

Mi auguro di non perdere mai questa voglia, questo approccio di vivere, di vivermi anche le Olimpiadi con momenti speciali che magari mi accompagneranno per tutta la mia vita, insieme alla gente che è parte di quel momento. Più che le gare fini a loro stesse, preferisco godermi i momenti per poi poterli rivivere un giorno dire 'ma ti ricordi quella volta che... ma quante risate ci siamo fatti, o quanta tensione c’era, o quanto ci siamo impegnati per chiudere quella cosa lì'.

Come è stato a suo tempo aver condiviso con Alessandrina il Last Chance di due anni fa. Non conservo i ricordi soltanto del momento in cui è arrivata in finale e ha conquistato la vittoria, ma anche dei due mesi precedenti a quella competizione. In quel periodo, Alessandrina si trovava in difficoltà ad allenarsi e insieme abbiamo tracciato una direzione. I ricordi più vividi risiedono nei momenti trascorsi nel backstage, dove abbiamo condiviso risate, lacrime, tensione ed emozioni intense, che ancora oggi mi provocano brividi.
Sono proprio questi i momenti che reputo fondamentali, quelli che favoriscono la crescita e conferiscono un valore aggiunto. La meta non è soltanto raggiungere un risultato, ma vincerlo come individuo che non necessariamente coincidere con il risultato sportivo.

Questo è il mio desiderio per il 2024.

Grazie per il tempo concesso!